Feurs, Francia 1912 - Numana, Italia 2002

ARTIAS PARLA DI ARTIAS:
«Non ho avuto voglia di fare altri mestieri, ho semplicemente avuto i desideri dei giovani. A vent’anni sognavo di diventare aviatore, come tutti. Solo che l’idea della pittura mi ha rapito molto presto. Ma sono partito male, perché le mie ambizioni non corrispondevano per niente alle mie doti! Disegnavo molto male ed avevo dei bruttissimi voti in disegno. (…) Il mio disegno era pieno di sentimento, ma ero incapace di riprodurre fedelmente la realtà. Così i miei inizi sono stati molto duri! Ero in conflitto con tutti, si pensava che iniziassi a fare un mestiere per il quale non ero qualificato».

 

BIO e OPERE

Philippe Artias con sua moglie LydiaNella foto: Philippe Artias con sua moglie Lydia
 
 
Autodidatta, Artias si avvicina alla pittura negli anni Trenta: la sua opera s’avvia all’incontro folgorante Matisse e Picasso dopo «aver corrisposto a lungo con André Lhote». Poi la Guerra e la militanza dell’artista nelle fila della Resistenza francese (per il valore ed il coraggio dimostrati, sarà nominato a ricevere la Legion d’Onore: rifiuterà l’alta onorificenza proponendo che sia un ex sindacalista, Marchadier, di ritorno da Buchenwald a riceverla al suo posto).

Dopo la guerra e un tempo non breve d’interesse per l’Espressionismo tedesco, Artias raggiunge un punto centrale della sua arte nella necessità di esprimersi partendo da un pretesto figurativo per guardare a una realtà da restituire in termini appassionati. Termini che lo distanziano tanto dall’astrazione lirica o geometrica quanto dalla nuova pittura realista impegnata politicamente e socialmente di Bazaine, Estève, Pignon (con cui pure avrà un rapporto di fraterna amicizia). Mentre la Scuola di Parigi rifiuterà ogni contaminazione con quella newyorkese dei Pollock, Newman e De Kooning, Artias sceglierà di partire letteralmente alla ricerca di Picasso.

«Vedere vivere Picasso è stata per me la più grande lezione di pittura che abbia ricevuto».

L’incontro col Malagueño avviene in Provenza, a Vallauris, dove Artias si stabilisce nel 1948 frequentando il laboratorio e la residenza del Maestro per i successivi cinque anni. Si tratta di un’opportunità unica che rivoluzionerà totalmente la parabola artistica di Artias, per lo meno nell’approccio alla pittura.
«Eravamo circa una decina nella stanza quando mi presentarono al Maestro. Lui venne verso di me e mi chiese che stessi facendo, che sperava di poter vedere quel che stavo preparando. Avevo portato dei disegni con me, lui li esaminò ripetendo sempre lo stesso ‘Ah! Va bene! Ah! Va bene!’. Questo non significava assolutamente nulla, perché - lo scoprii solo frequentandolo - lui vedeva ciò che lui stesso avrebbe fatto, e non aveva niente a che vedere con ciò che avevo fatto io. Ricordo che ad un certo punto, gli ho mostrato dei disegni che erano parti di scrittura su una sinfonia di Beethoven. Erano assolutamente astratti, e si è divertito molto. Ripeteva: ‘È interessante, è interessante’. Mi domandò: ‘Che cosa fa? Vende i suoi dipinti?’. Poiché i miei dipinti erano praticamente inesistenti, gli risposi che no, non ne vendevo. E lui: ‘Allora come vivete?’. E io di rimando: ‘Eh, con difficoltà’. Allora mi propose di farmi entrare in una fabbrica di ceramiche: ‘Non vende i suoi disegni su carta, ma se fa gli stessi disegni su un piatto, la gente li acquisterà’».
E così fu. Prima in Francia e poi nel suo periodo marchigiano, in Italia, Philippe Artias sperimenterà con grande trasporto - e notevoli riscontri commerciali - la pittura su ceramica. Troverà il vaso, il piatto, la brocca più adatti al proprio segno; non interverrà, dunque, sulla forma esterna del supporto, concentrando viceversa tutta la sua espressività sul solo colore appassionato e generoso, sulle forme irregolari del suo complesso mondo d'immagini. Anche in ceramica procederà per cicli, così che il tema possa essere rappresentato per riflessioni successive, per continui approfondimenti. Di conseguenza alcune serie sono strettamente imparentate con la pittura più nota di Artias: La famiglia reale. I volti. I volti smerlati. I nudi. La strada. «Si direbbe che l’autore ami delle antiche tecniche ceramiche il risultato folgorante, il prodotto del fuoco e degli smalti, la sorpresa dell'immagine che s'invera su supporti diversi dalla tela e dal foglio. Davanti a queste opere (…) veloci nell'esecuzione, cariche di abbondante colore, sorprende la vitalità inesausta del maestro che con il suo talento ha attraversato gran parte del secolo, guardando alla storia della pittura senza rinunciare ad esplorare, con ottimismo, il futuro. Nel suo messaggio, dato per tele e per fogli, ed ora con ceramiche rigogliose, s'avverte un’adesione continua al valore della figura, al profondo significato della presenza dell’uomo, con le sue malinconie, col suo dolore: la sua difficile, ma non impossibile presenza nel mondo» (Mario Quesada).

Il quinquennio a Valluris si trasformerà in una sorta di rampa di lancio artistica per Artias che riprenderà il tema del paesaggio, poi del nudo ed infine del nudo-paesaggio permettendogli di fondere il continuo divenire della natura con l’essere umano in movimento. Queste opere saranno esposte in Svizzera e a Parigi.
Ininterrottamente dal 1950 al 1973 l’opera di Artias è presente al Salon de Mai.
Nel 1963 inizia i primi studi sulla Famiglia Reale di Goya, grande ciclo pittorico terminato negli anni ’80 che comprende oltre 30 oli e 200 acquarelli preparatori.
Nel 1964 vince il Gran Premio della pittura di Avignone presentando opere dedicate alla Rivoluzione Francese e alla figura di Robespierre. Negli anni successivi espone a Stoccolma, Neuchatel e in numerose località del Giappone. Presenta inoltre una mostra itinerante in 14 città degli Stati Uniti (Serie New York), cui fanno seguito mostre a Basilea, Ginevra, Londra, Parigi, Los Angeles.
Alla fine degli anni ’60 si avvicina allo studio della sensualità femminile che diverrà poi negli anni a seguire lo studio dell’erotismo del corpo. Negli anni ’70 inizia ad utilizzare i colori piatti, tecnica pittorica che Artias chiamerà «La ricerca dell’equilibrio tra la forma e il colore».
Dal 1976 trascorre lunghi periodi in Italia. La scoperta dell’architettura nonché dei grandi pittori italiani del Quattrocento, lo portano a dipingere una serie di opere dedicate a Roma e Venezia. Non solo le città attraggono il suo sguardo, ma anche il paesaggio e nascono così Le Spiaggie e I Paesaggi.
All’inizio degli anni ’80 intraprende un lungo ciclo dal titolo Geotema in cui realizza tutte le combinazioni nate dalla geometria (ragione) sovrapposte al corpo nudo femminile (emozione).
I ’90 sono densi di riconoscimenti: Mostra al Carré des Arts di Parigi, Mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, Mostra al Petit Palais di Ginevra, invito nel 1996 dell’Unesco a Parigi, insieme a 100 artisti scelti in tutto il mondo. Nel 1997 viene insignito della massima onorificenza francese, la Legion d’Onore, questa volta per meriti artistici.
Nel 2000, primo tra gli artisti contemporanei, espone in Cina al Museo Nazionale dell'Arte Cinese di Pechino. La sua arte vive nei Musei del mondo; sue opere sono stabilmente esposte a Parigi, Ginevra, Pechino, Dunkerque, San Paolo del Brasile, Ferrara, Neuchatel, Saint-Etienne, Città del Messico, Avignone, Abidjan, Teheran, Urbino.

La firma di Philippe Artias

È risaputo come esistano opere di Artias siglate con firme diverse. La motivazione è essenzialmente biografica.

«Quando sono nato a Feurs, nella Loira, nel 1912, mia madre mi ha chiamato Antoine, come suo fratello. Ed è qui che è successo qualcosa di divertente: mio zio ha fatto cancellare questo nome dal registro di stato civile, perché ero un figlio naturale».

«Artias è il luogo natale della mia nonna materna, in Alta Loira, il luogo d’origine della mia famiglia. Questo paese mi è caro per molteplici ragioni: emozioni plastiche, scoperte interessanti, lavoro impegnativo, dunque luoghi familiari. Ecco il perché sono diventato Artias. Prima, sì, ho cambiato molte volte di nome: Saby, poi Saby-Viricel, poiché a Parigi c’era un pittore che si chiamava Bernard Saby. Ho avuto anche molti nomi, Auguste, poi Henri. Finalmente ho scelto quello di Philippe con il quale ero conosciuto durante la Resistenza».

(tratto da Claude Thibault, Claude Thibault s'entretient avec Philippe Artias. La Bibliothèque Artistique, Paris, 1989)